Web Tax, ora è il momento

E’ il momento di tornare a parlare (seriamente) del tema dei giganti del web e del loro contributo fiscale (la cosiddetta “web tax”).

Qualche numero, come sempre, per comprendere appieno la rilevanza del tema. Amazon, l’azienda fondata da Jeff Bezos, ha fatturato l’anno scorso 280 miliardi di dollari (circa il 30% delle entrate complessive dello Stato italiano). Facebook, Apple, Google e Amazon valgono, assieme a Microsoft, oltre il 20% dell’intero indice S&P500 che raggruppa le prime 500 aziende americane. Messe assieme, per intenderci, valgono più del Pil di Germania, Francia e Italia. Nonostante la pandemia da Covid-19, dall’inizio dell’anno le big tech hanno aumentato il loro valore del 35%, mentre le altre aziende dell’indice S&P500 hanno perso in media il 5%. Il solo Jeff Bezos ha visto aumentare il proprio patrimonio personale di circa 28 miliardi di dollari (in tempi normali, il costo di una finanziaria italiana).

Come è a tutti noto, una parte rilevante di questi risultati si deve anche a quello che, in gergo, si chiama comunemente “profit shifting”. In altre parole, il trasferimento dei profitti da Paesi ad alta imposizione fiscale a Paesi a tassazione nulla o comunque ridotta. Una pratica resa possibile da un concetto ormai obsoleto di “stabile organizzazione” come fonte del proprio trattamento fiscale. Cioè quello del Paese in cui esiste la sede o il centro degli affari “fisico”, attraverso il quale un’impresa commerciale non residente esercita la propria attività economica, producendo reddito nel territorio di un’altra nazione.

Il fatto è che oggigiorno, grazie a internet, non è affatto necessario avere una stabile organizzazione in un determinato Paese per poter fare affari con i suoi residenti. In un’economia sempre più dematerializzata e digitale, infatti, ciò che conta è la raccolta e l’utilizzo dei dati degli utenti. Quest’attività non è più allineata con il concetto di territorialità e di localizzazione fisica degli impianti e delle risorse. E sono proprio i dati degli utenti la principale fonte di ricchezza e di reddito nell’economia digitale. Dati che, oltretutto, possono anche essere ceduti o prestati a fini pubblicitari, creando in tal modo ulteriori profitti. E’ allora il caso di immaginare un nuovo concetto. Quello della “stabile organizzazione digitale”. Questa nuova definizione potrebbe essere delineata mediante il ricorso a nuovi parametri, legati a determinate grandezze quantitative proprie dell’economia digitale (il numero di bytes che transitano nel Paese di consumo, il numero degli utenti nello stesso Paese, le pagine visitate, i dati personali raccolti), al superamento dei quali scatterebbe l’obbligo di assoggettarsi alla normativa fiscale del Paese in cui queste soglie vengono raggiunte. Indipendentemente, a questo punto, dalla localizzazione fisica della sede dell’impresa.

Dopo tante parole sul tema, dopo ripetuti impegni che sono risultati sempre disattesi, davanti agli effetti della pandemia che ha inferto colpi mortali all’economia mondiale ma non certo - come si è dimostrato - ai colossi del web, bisogna dirsi che è arrivato il momento di agire. Anche perché l’Europa avrà bisogno di creare nuove risorse proprie per finanziare i suoi ambiziosi progetti per la ripresa.

Bisogna allora prendere atto che la fiscalità di oggi non è più adeguata alla realtà di un’economia sempre più dematerializzata. E una tassazione bassa, se non nulla, anche se frutto di costruzioni giuridiche del tutto lecite, non è più accettabile perché genera concorrenza sleale ed impoverisce gli Stati. La risposta, perché sia efficace, va ricercata al livello più alto con un impegno chiaro da parte di tutta la comunità internazionale, a partire dal G20.

Il nostro governo deve fare, attivamente e con decisione, la sua parte in questa direzione. Perché non è possibile, soprattutto in tempi come questi, accettare passivamente una politica capace di essere forte con i deboli ma, al tempo stesso, debole con i forti.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

02/10/2020 Il Messaggero Veneto