In verità l'euro ci ha salvati

A pochi giorni dal voto europeo, si continua costantemente a parlare dell’euro che secondo alcuni sarebbe la vera causa della mancata crescita del nostro Paese e della crisi della nostra finanza pubblica.

Al riguardo, forse non è inopportuno dirci con franchezza alcune verità che i numeri sanciscono in maniera incontrovertibile.

Nel 2018 l’Italia ha pagato circa 65 miliardi di euro di interessi passivi su un debito pubblico di oltre 2.300 miliardi. Una cifra che corrisponde ad un tasso del 2,8%.

Una cifra che, tanto per dare un’idea di ciò di cui stiamo parlando, corrisponde a quanto il nostro Stato spende ogni anno per finanziare la scuola pubblica.

Nonostante l’oggettiva enormità del costo per poter sostenere tale debito, specie se appunto raffrontato con spese di certo più importanti per la nostra collettività, è bene ricordare che, prima dell’euro, tassi del genere ce li potevamo scordare.

Dati alla mano, dal 1995 ad oggi, il nostro debito pubblico è esattamente raddoppiato passando da circa 1.150 ad appunto 2.300 miliardi.

Tuttavia, nonostante ciò, prima dell’avvento dell’euro, l’Italia spendeva molto di più per interessi passivi di quanto ne spenda oggi con un debito raddoppiato. In termini di tassi, infatti, si è arrivati a toccare il tetto massimo del 12,2% raggiunto nel 1993. In pratica oltre il quadruplo di oggi.

Con tassi mediamente intorno al 10%, com’erano prima dell’entrata nella moneta unica, l’Italia avrebbe pagato oggi ben 230 miliardi (!) di interessi, e non solo 65. Con l’evidente conseguenza, a questo punto, di avere un bilancio del tutto fuori controllo e vicino a determinare la bancarotta del nostro Paese.

Non solo. Dobbiamo pure ricordarci che un’altra grande mano ce l’ha data anche l’acquisto massiccio di titoli di Stato operato proprio dalla Banca Centrale Europea fino allo scorso anno (il cosiddetto “quantitative easing”). Un’operazione che ha tolto dal mercato titoli che sarebbero rimasti invenduti per lungo tempo, data la scarsa credibilità dei nostri conti. Senza questo intervento, infatti, la conseguenza sarebbe stata sicuramente quella di un automatico rialzo dei tassi di interesse per riuscire a poter piazzare sul mercato i nostri titoli.

Forse è bene pensarci quando ci sentiamo dire che l’Unione Europea ci toglie sovranità. E da ultimo, il tema dello spread, cioè il differenziale di rendimento tra i titoli tedeschi e quelli italiani.

È evidente che se devi soldi ad investitori, per di più in larga parte stranieri, devi essere sempre oculato nelle dichiarazioni, sapendo che ogni frase fuori posto aumenta in loro la paura che il debito possa non essere saldato e quindi ciò fa salire il tasso di interesse che devi offrire per poterli convincere a mantenere il finanziamento che ci hanno accordato. E quindi ciò determina appunto l’aumento dello spread rispetto ai titoli tedeschi che, evidentemente, questo rischio agli investitori non lo fanno percepire, o comunque lo fanno percepire in misura assai minore. Del resto la Germania il proprio debito, a differenza di noi, lo riduce e spende oggi circa quattro volte in meno dell’Italia per interessi sul proprio debito.

Quindi, in conclusione, non è detto che all’aumentare del debito aumenti anche la spesa per interessi. I dati del nostro Paese, come si è visto, dimostrano infatti proprio l’esatto contrario. E se ciò non è accaduto, questo lo si deve proprio all’euro ed alla politica della Banca Centrale Europea che, di fatto, ha permesso alla nostra finanza pubblica di poter sopravvivere.

Infine sarebbe bene riproporsi di mangiare altro a colazione, piuttosto che lo spread, se non si vuole riportare il nostro Paese ad un passato che proprio la verità dei numeri non ci consente di poter rimpiangere.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

23/05/2019 Il Messaggero Veneto