Una fuga continua dalla realtà

Conclusosi il dibattito sulle elezioni in Emilia Romagna, si apre ora quello sulla riforma della prescrizione.

In entrambi i casi, eventi comunque locali o temi di natura specifica, pur rilevanti e significativi, vengono trasformati in una sorta di giorno del giudizio per la tenuta del governo nazionale. Con un continuo percorso ad ostacoli in cui, una volta superato uno, se ne forma immediatamente un altro. Destinato ad assorbire tutta l’attenzione dei media e, di conseguenza, dell’opinione pubblica. Sul tema della prescrizione, credo di poter interpretare l’opinione di tutti nel dire che è sacrosanto che i colpevoli vengano sempre condannati per i reati che hanno commesso ma che, per ottenere questo risultato, non si possa nemmeno pensare che gli innocenti debbano stare sotto processo per una vita intera.

La soluzione pertanto non può che essere quella della velocizzazione dei processi, modernizzandone le procedure (siamo pur sempre nell’era digitale) e investendo adeguate risorse per potenziare il personale e gli strumenti a disposizione del sistema giustizia. Invece, abolire oggi la prescrizione e, al tempo stesso, promettere (per ora, solo a parole) l’accelerazione dei processi mi sembra una palese contraddizione.

Se il processo diventerà più rapido grazie alla modernizzazione (che però ancora non c’è), allora a che serve abolire la prescrizione? Sorge quindi il più che legittimo sospetto che introdurre questa norma voglia proprio dire che si è consapevoli che, viceversa, questa promessa accelerazione in realtà non ci sarà mai e l’abolizione della prescrizione finirà solo per rendere interminabili i giudizi dopo il primo grado.

Ma quel che è peggio è però che tutto questo finisce per distogliere l’attenzione dai veri problemi che restano così drammaticamente irrisolti. Perché, di fatto, mai seriamente affrontati.

In un mondo caratterizzato da eventi destinati ad avere pesanti e durature conseguenze sulla vita e sull’economia del nostro paese (il virus cinese, la Brexit e la politica internazionale dei dazi, tanto per citarne alcuni) quali strategie (e quali alleanze), al di fuori della stretta emergenza, stiamo mettendo in piedi per affrontarli efficacemente?

Le statistiche ci dicono che in Italia la maggioranza dei cittadini over 14 non lavora (caso unico al mondo assieme alla Grecia), il 30% dei nostri ragazzi non lavora, non studia e non si forma (record negativo in Europa), la produttività del nostro lavoro è un quarto della media europea e però spendiamo oltre 100 miliardi l’anno (quanto il costo dell’intera sanità nazionale) in gioco d’azzardo. Come può non preoccupare allora i nostri governanti un paese dove non si lavora, non si studia ma però si gioca d’azzardo?

Si potrebbero aggiungere i casi perennemente irrisolti (Alitalia, Ilva, concessioni Autostrade) sui quali la politica di tutti i colori si balocca da tempo senza mai trovare una soluzione efficace e, finalmente, definitiva.

Diciamoci con franchezza che non sono le “citofonate” e neppure, con tutto il dovuto rispetto in questo caso, le “sardine” la soluzione a questi grandi problemi.

Servirebbe una politica alta che, come diceva De Gasperi, sappia guardare alle prossime generazioni piuttosto che alle prossime elezioni.

Una politica che oggi fatica a distinguersi.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

08/02/2020 Il Messaggero Veneto