Tre punti fermi per il rilancio dell'economia dopo l'emergenza

Stiamo tutti vivendo una situazione di emergenza che non ha paragoni nella memoria di ciascuno di noi.

Le priorità sono certamente oggi di natura sanitaria e dobbiamo riconoscere che, da questo punto di vista, chi ci governa ha assunto le misure giuste per contrastare la diffusione del contagio e noi stessi cittadini italiani le stiamo tutti seguendo, salvo marginali eccezioni, con encomiabile rispetto.

Non è quindi il momento di alzare ingiustificatamente i toni. Tuttavia non può per questo trascurarsi la necessità di guardare, specie per chi non è impegnato sul versante della salute pubblica, all’andamento dell’altro grande malato di questa emergenza: l’economia. Un’attenzione tanto più necessaria con riferimento al nostro Paese che non è ingiustificato definire già in crisi ancor prima di questa terribile crisi.

Io credo che vadano fissati alcuni punti fermi da questo punto di vista.

Il primo è il ruolo dell’Europa e della Bce. Non si può pensare che queste istituzioni non si facciano principale carico del peso della soluzione di questa crisi che riguarda indistintamente tutti i paesi europei. Consentirci di sforare i paletti del Fiscal Compact non è assolutamente sufficiente perché questo significa per il nostro Paese comunque maggior debito (come se non ne avessimo già abbastanza …) ed un peggior futuro assicurato per i nostri figli. Va attivato il Fondo Salva Stati con prestiti a fondo perduto a favore dei Paesi europei maggiormente colpiti e proseguita la politica di acquisto da parte della Bce dei titoli di Stato. Le premesse da questo punto di vista (vero signora Lagarde?) non sono risultate particolarmente incoraggianti.

Il secondo punto riguarda le conseguenze della decisione (saggia) di chiudere praticamente il nostro Paese, confinando a casa la stragrande maggioranza dei nostri cittadini. Se però si ferma il Paese non si può chiedere a quegli stessi cittadini di pagare le tasse come se il fermo delle attività economiche non ci fosse stato. E allora se la fine dell’emergenza sanitaria è comprensibilmente del tutto incerta non si possono differire di solo qualche giorno parte dei versamenti (per fatturati superiori a 2 milioni) e fino al 31 maggio per tutti gli altri. Come può sentirsi chi non sa se e quando potrà ritornare a lavorare sapendo che, però, a scadenza fissa, dovrà comunque pagare imposte non compensate da redditi che gli è precluso di poter conseguire? Che dire poi se tra le pieghe del provvedimento fiscale ci fosse pure la proroga di due anni dei termini di accertamento di eventuali maggiori imposte da pagare?

Il terzo punto è la priorità, in questo momento, di sostenere soprattutto il lavoro autonomo. Questa è una crisi dell’offerta, prima ancora che della domanda. A differenza della crisi finanziaria del 2008. Le vittime di questa crisi saranno infatti principalmente i lavoratori autonomi. Quelli che, se stanno fermi, lo stipendio non lo prendono perché semplicemente non hanno un datore di lavoro che glielo paga anche se stanno a casa o un ammortizzatore sociale in grado di garantirne almeno una parte. E senza gli autonomi che scelgono di avviare attività economiche assumendosene il rischio non ci saranno più dipendenti da assumere o a cui confermare il posto.

In sintesi quindi: ruolo principale dell’Europa, non chiedere ai cittadini ciò che senza lavoro non si può dare, attenzione al lavoro autonomo che è e sarà il vero motore dell’auspicata ripresa all’indomani dell’emergenza.

Tre punti fermi per consentire che i sentimenti di coesione nazionale e di solidarietà che oggi si respirano nel Paese ci facciano sentire anche convinti partecipi del rilancio della nostra economia.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

17/03/2020 Il Messaggero Veneto