Se le parole hanno un senso

Nel momento in cui si avvicina il termine di presentazione della Nota Integrativa del Documento di Economia e Finanza (27 settembre) che conterrà i tratti essenziali della manovra di bilancio 2019, infuria il dibattito tra le due componenti dell’attuale governo in una sostanziale assenza, va detto, di significative voci critiche da parte dell’opposizione.

Sembrano infatti curiosamente più loro, Lega e 5 Stelle, a combattersi in difesa delle rispettive priorità con cui hanno vinto la recente competizione elettorale piuttosto che l’opposizione che ottiene gli onori delle cronache più per le cene che fa, o che forse non fa più.

I principali temi che animano questo dibattito sono sempre quelli in quanto ormai da mesi occupano le pagine dei giornali e le scene dei più importanti talk show televisivi: il reddito di cittadinanza, la flat tax, l’abolizione della legge Fornero, la pace fiscale. Questa volta non voglio discutere della loro efficacia, della possibilità che ci siano adeguate coperture, del fatto che si rispettino o meno i patti con l’Europa. Voglio farne invece una questione diciamo così “lessicale”, convinto che espressioni sbagliate possano condurre a conclusioni fuorvianti per i cittadini che sono chiamati a condividerle con il voto e ad applicarle poi quando si saranno tradotte in norme di legge.

Partiamo dal “reddito di cittadinanza”. L’espressione utilizzata sembra richiamare l’idea che l’unico requisito per poterne usufruire sia quello di avere la residenza in Italia. E’ davvero così? Ovviamente no. Ci sono una serie di condizioni aggiuntive da rispettare. E allora perché chiamarlo così? Secondo l’enciclopedia Treccani poi il reddito è “l’utile che viene dall’esercizio di un mestiere, di una professione, di un’industria, da un qualsiasi impiego di capitale”. Quindi nel nostro caso non si tratta né di reddito né di cittadinanza. Si tratta semmai di un “sussidio contro la povertà”, ma forse la crudezza dell’espressione l’avrebbe reso meno gradevole e accattivante per il cittadino elettore.

La “flat tax”. Sempre secondo la Treccani si tratta di “un sistema fiscale non progressivo basato su un’aliquota fissa per tutti i livelli di reddito”. Secondo le anticipazioni di stampa, invece, si sta pensando di ridurre gli attuali scaglioni da 5 a 3 e poi, forse, a 2. In nessun caso, a uno solo. Ma ridurre il numero delle aliquote a un numero comunque maggiore di una, non crea di certo una flat tax. Surreale al riguardo l’espressione usata dal ministro Toninelli al riguardo: “stiamo pensando ad una flat tax …progressiva”. Con il dovuto rispetto, è come dare del quadrupede a un pollo!

L’abolizione della legge Fornero. Ricordiamo che la legge del 2011 ha sostanzialmente allungato i tempi necessari per andare in pensione pur con alcune storture (gli “esodati”) a cui nel tempo si è cercato di porre rimedio. Abolire quella legge significa abrogarla e quindi ripristinare la situazione che esisteva in precedenza. Significa quindi percepire ora quella pensione che quella legge ha nel tempo differito? E’ così? Ma certo che no. Si discute di un’ennesima riforma (quota 100) ma nessuno pensi di ricevere quei soldi che gli son stati negati per effetto dell’allungamento dell’età di entrata in pensione. Tanto più che già oggi l’età di pensione effettiva in Italia resta ancora tra le più basse d’Europa.

Infine “la pace fiscale”. Che cos’è? Diciamo che nelle intenzioni si tratta di una sorta di maxi rottamazione delle cartelle di Equitalia. Si tratta di un condono? Assolutamente no per il ministro Di Maio che ha tuonato: “il M5S non voterà mai nessun condono, quelli sono i nostri valori, questo deve essere ben chiaro”. Ancora per la Treccani il condono in campo fiscale è “un provvedimento legislativo che ha lo scopo di agevolare i contribuenti che vogliano risolvere pendenze in materia tributaria". Carlo Cottarelli ha detto che “per tutte le definizioni internazionali, quando lo Stato cancella qualcosa che il contribuente deve pagare, è un condono”. Possiamo allora dubitare che quello che ci viene oggi proposto come “pace fiscale” possa ragionevolmente sfuggire a precise definizioni come queste?

Concludo. La materia è già tecnicamente difficile e perdipiù la condizione di contribuente non è mai piacevole, ma si potrebbe almeno pretendere che la narrazione che ci viene proposta sia meno fuorviante e più appropriata di quella che continua ad offrirci la nostra classe politica?

Anche questo sarebbe un segnale dovuto per un governo che si definisce “del cambiamento”.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

22/09/2018 Il Messaggero Veneto