Riforma fiscale, da dove partire

La riforma fiscale in Italia è un cantiere sempre aperto. Una sorta di infinita “Salerno-Reggio Calabria”, i cui lavori sono costantemente in corso ma la loro conclusione resta sempre di là da venire. L’eccezionalità del momento che stiamo oggi vivendo, il miraggio di fondi europei che mai in passato avremmo pensato di poter ricevere incoraggia oggi la ripresa di un confronto sul tema. Forse con qualche prospettiva più ampia di poter arrivare, questa volta, fino in fondo. Forse, appunto. E sempre che per riforma del sistema fiscale si intenda una rivisitazione complessiva della distribuzione del carico fiscale tra tutti i cittadini e non sia limitata ad alcune modifiche di settore (come l’assegno unico per i figli o la riduzione del cuneo fiscale per i soli dipendenti). Provvedimenti che, se approvati, di certo non autorizzerebbero a concludere che il sistema sia stato effettivamente riformato. Modificato sì, ma riformato certamente no. Perché le riforme non sono semplici affinamenti di un sistema che comunque nel suo impianto risulta confermato. Sono invece cambiamenti radicali dei presupposti di un sistema che, così com’è, non ha più ragione di esistere e pertanto va cambiato.

Partiamo allora dalla realtà attuale. Sulla base dei dati ufficiali riferiti al 2017, in Italia ci sono 60,5 milioni di abitanti, 41,2 milioni di contribuenti di cui 30,6 milioni pagano almeno un euro di Irpef. Da questi dati si possono ricavare due prime conclusioni. La prima è che circa la metà degli italiani, quasi 30 milioni di persone (compresi ovviamente i neonati …), non versa neppure un euro di imposte sul reddito pur beneficiando, esattamente come tutti gli altri, dei servizi che da queste derivano. La seconda è che ogni contribuente ha in media a carico un’altra mezza persona (il rapporto dichiaranti/abitanti è infatti pari a circa 1,5).

La stragrande maggioranza dei contribuenti italiani (24,4 milioni, pari a quasi 60%) dichiara redditi fino a 20 mila euro lordi l’anno e versa un’Irpef di complessivi 15,8 miliardi che costituiscono meno del 10% del gettito totale dell’imposta (in tutto 164,7 miliardi). Senza considerare tutto il resto della spesa pubblica (istruzione, infrastrutture, pubblica amministrazione …), questi cittadini contribuenti non sono neppure in grado di pagare la loro quota parte della sola sanità italiana che costa (pre Covid) circa 114 miliardi l’anno, pari a circa 1.900 euro pro capite. Pur considerando infatti il solo scaglione più alto (quello da 15 a 20 mila euro), i contribuenti che rientrano in questa fascia pagano infatti un’imposta media annua di quasi 2 mila euro, che tuttavia risulta insufficiente a finanziare la spesa sanitaria anche per quella metà media di persone a carico che ciascun contribuente si ritrova nel proprio nucleo familiare.

Risulta agevole concludere che chi sostiene effettivamente la spesa pubblica nel nostro Paese sono in realtà tutti gli altri. In particolare, quelli che dichiarano oltre 35 mila euro (circa 5 milioni di persone, poco più del 12% dei contribuenti e dell’8% dei cittadini italiani) che versano circa il 58% dell’Irpef totale. Tra questi i (cosiddetti) “super ricchi”, quelli che dichiarano oltre 100 mila euro lordi l’anno (in tutto solo 467 mila persone, poco più dell’1% dei contribuenti ed assai meno dell’1% degli abitanti), che versano quasi 32 miliardi di Irpef pari a oltre il 19% gettito totale complessivo dell’imposta.

Può ritenersi equilibrato un sistema del genere, dove meno del 10% dei cittadini contribuisce per quasi il 60% al gettito complessivo dell’imposta personale sul reddito? Non si determina in questo modo un ingiustificato impoverimento del ceto medio ed un pericoloso disincentivo al lavoro ed al guadagno che sono il vero motore di crescita di qualsiasi società civile? Può concludersi genericamente che siamo un Paese di “tartassati” se quasi il 90% dei cittadini, per di più in tempi come questi, non è chiamato neppure a contribuire alla propria quota di spesa sanitaria? Non sarà vero, conclusivamente, che la realtà è che in Italia troppi pagano poco e pochi pagano troppo? Ecco dalle risposte a queste domande, dopo tante parole inutili, una vera riforma del sistema fiscale dovrebbe oggi partire.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

23/10/2020 Il Messaggero Veneto