Opulenti e inoperosi: il destino segnato di un equilibrio impossibile

Un illuminante saggio del sociologo Luca Ricolfi (“La società signorile di massa”, La nave di Teseo), appena pubblicato, traccia un quadro della società italiana attuale tanto chiaro e documentato da meritare a buon diritto di diventare un argomento primario di dibattito per tutti coloro a cui affidiamo i destini del nostro Paese.

Tre gli elementi essenziali che, secondo l’autore, caratterizzano la nostra società attuale: la maggioranza di cittadini che non lavorano rispetto a quelli che lavorano, l’accesso diffuso a consumi considerati opulenti, la stagnazione della nostra economia.

Oggi infatti, dati alla mano, solo il 43% dei cittadini italiani di età superiore ai 14 anni lavora, il consumo medio familiare è oltre tre volte il reddito considerato di sussistenza (quantificato in 12 mila euro l’anno), a fine 2019 il tasso quinquennale di crescita è inferiore all’1%.

Da qui il tratto distintivo di quella che viene definita da Ricolfi una “società signorile di massa”: l’appropriazione significativa del surplus prodotto da parte di chi non lavora. In sintesi, oggi i signori sono più numerosi dei produttori.

Questo tipo di organizzazione sociale si regge a sua volta tre pilastri: la ricchezza accumulata dai nostri padri, la dequalificazione del nostro sistema d’istruzione ed un’infrastruttura di stampo para-schiavistico.

Il primo permette di poter spendere anche senza produrre, il secondo ha consentito il rilascio di titoli non qualificanti creando una marea di inattivi tra i nostri giovani che non ha eguali in tutto il mondo (oltre il 30% di ragazzi tra i 25 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non si formano), il terzo consente di utilizzare in ruoli servili una parte della popolazione residente (spesso costituita da stranieri) perlopiù a beneficio di cittadini italiani.

Nel 1928 John Keynes immaginava che cent’anni dopo la produttività del lavoro sarebbe cresciuta di otto volte e che questo aumento avrebbe dimezzato gli orari di lavoro permettendo alle persone di utilizzare il maggior tempo libero per alzare il proprio livello culturale. È accaduto questo in Italia? Certamente la produttività del lavoro è significativamente aumentata rispetto a quasi cent’anni fa ma il dimezzamento immaginato del tempo di lavoro ha comportato non già la riduzione degli orari di lavoro quanto piuttosto la suddivisione della nostra popolazione in una minoranza di lavoratori attivi ed una maggioranza di non lavoratori.

Il maggior tempo libero poi non è stato utilizzato per migliorare il proprio livello culturale, bensì per accedere a maggiori consumi. Vacanze, cibi esotici, fitness, estetica, baby sitter, lezioni private, colf e badanti (quest’ultime in crescita superiore a quella del numero degli anziani) sono diventate alla portata di tanti.

Anche l’accesso a internet viene utilizzato più per giocare, condividere video e partecipare alle discussioni sui social che per informarsi. Il gioco d’azzardo ha oggi in Italia un fatturato pari al costo dell’intera nostra sanità (107 miliardi). Come a dire, sottolinea Ricolfi, che se gli italiani smettessero di giocare, potrebbero finanziare la sanità pubblica e pagare 107 miliardi di tasse in meno!

Lo spazio del lavoro nella nostra vita si è così di molto ristretto, eroso dallo svago e dal consumo nelle loro innumerevoli forme, reali e virtuali.

Il risultato è che oltre la metà del consumo totale in Italia (460 miliardi su 800) è oggi sostenuto da redditi che non provengono da lavoro o provengono da lavoro prestato in passato (pensioni).

Per mantenere questo livello di consumi si riduce il risparmio, si ricorre alla ricchezza accumulata, ci si indebita, si mettono a frutto i beni che si posseggono ed infine, se si può, si evadono anche le tasse.

Un Paese che non lavora, non studia e invece gioca potrà mai durare?

La risposta non può che essere negativa.

Ci condanna soprattutto l’attuale incapacità di crescere significativamente.

Abbastanza prosperi per permettere a tanti di noi di non lavorare, non siamo abbastanza produttivi per permetterci di conservare a lungo la nostra prosperità.

Opulenti e inoperosi. Un equilibrio destinato a rompersi, quando la stagnazione si trasformerà in declino.

Siamo sinceri una volta tanto: il 2019 non è stato un anno bellissimo, non è nato né può dirsi alle porte un nuovo miracolo industriale e neppure è in atto un nuovo umanesimo. Noi siamo più o meno quelli che ha descritto impietosamente Ricolfi. Solo se sapremo prenderne atto, rifiutando narrazioni propagandistiche e l’evocazione di falsi problemi, potremo impedire che si compia il destino altrimenti segnato di un equilibrio impossibile.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

05/12/2019 Il Messaggero Veneto