Minimi, non figli di un Dio minore

La legge di stabilità introduce, per il 2015, un nuovo regime fiscale per i cosiddetti "minimi". I "minimi" sono quei lavoratori autonomi che non raggiungono determinate soglie di fatturato tanto da poter essere considerati, per così dire, marginali. Una qualifica quest'ultima che tuttavia, a ben vedere, può valere per i loro ricavi ma non certo per la loro numerosità complessiva visto che questa, viceversa, supera il 90% dei contribuenti italiani titolari di una partita IVA. Quindi stiamo parlando di un ambito di significativa rilevanza non solo economica ma soprattutto sociale. Considerazione che assume ancor maggiore rilievo se si pensa che stiamo parlando prevalentemente dei nostri giovani. Di quei soggetti di cui commentiamo troppo spesso le impressionanti statistiche sul livello di disoccupazione e nei confronti dei quali, altrettanto spesso ma solo a parole, tutti dicono essere necessario riservare particolari attenzioni.
Ebbene la proposta fiscale del governo per tali fattispecie, sostitutiva dei precedenti regimi forfettari, prevede un aliquota che sale dal 5% al 15% ma con limiti differenziati e non più uguali per tutti, come oggi, per quanto riguarda il volume d'affari (dagli attuali 30.000 euro si passa ai 15.000 per i professionisti ed ai 40.000 per artigiani e commercianti) ed un imponibile definito secondo l'applicazione di coefficienti specifici (il 78% dei ricavi per i professionisti ed il 40% per artigiani e commercianti) senza più la deducibilità delle relative spese.
In tal modo verrebbero così destinati gli 800 milioni di euro che vengono riservati dalla manovra alle piccole partite IVA, rispetto ai 10 miliardi circa destinati invece alla conferma a regime del bonus degli 80 euro ai lavoratori dipendenti fino a 26 mila euro di reddito lordo.
Va detto con franchezza che la soluzione prescelta appare distante rispetto alle effettive esigenze di piccoli imprenditori e professionisti, in larga parte appunto giovani, verso i quali si continua a manifestare un sostanziale disinteresse che contrasta con l'esigenza di assicurare loro, ed al nostro Paese, la possibilità di poter costruire un futuro credibile.
Decidere infatti sulla base di semplici presunzioni l'accesso differenziato ad un regime fiscale agevolato in funzione dell'attività svolta, stabilendo ex ante il coefficiente di redditività, equivale ad imporre una sorta di "studio di settore preventivo" che finisce per sovrapporsi alla realtà effettiva, rischiando di violare quegli stessi principi di uguaglianza e di capacità contributiva previsti dalla nostra carta costituzionale.
Per quanto riguarda i professionisti poi - i nostri giovani lavoratori della conoscenza, non dimentichiamolo mai - la proposta è addirittura indecente. Si tratta in pratica di vedersi dimezzata la soglia di fatturato agevolato e, al contempo, triplicata l'aliquota!
Sarebbe stato più giusto mantenere l'attuale aliquota elevando per tutti, in maniera indifferenziata, la soglia di fatturato agevolato (così come peraltro aveva proposto lo stesso sottosegretario all'Economia, Enrico Zanetti) ovvero prevedere aliquote crescenti all'aumentare del reddito per tenere in debita considerazione il principio della progressività. È infatti sconfortante aver assistito alla corsa dei giovani professionisti ad aprire la partita Iva entro la fine dell'anno scorso solo per poter rientrare nel vecchio regime e scongiurare la possibilità di dover ricadere nel nuovo. Il governo ha garantito che interverrà per sistemare le storture. Speriamo sia davvero così. Perché si può anche essere minimi, ma non figli di un Dio minore.

03/01/2015 Messaggero Veneto