Ma non è questo il cambiamento

Proviamo a fare un primo punto su questa manovra di bilancio per quanto riguarda il 2019. Farlo sull’intero triennio 2019/20/21 è una fatica inutile in quanto troppe sono le incognite e le variabili legate ad un più lungo periodo perché questo ulteriore esercizio possa condurre oggi a risultati di una qualche significatività.

Di questa manovra 2019 si sa che vale 36.7 miliardi di euro. Le risorse sono attinte tramite un ulteriore ricorso al deficit per 21.7 miliardi (quasi il 60% dell’intera manovra), per 8.1 tramite maggiori entrate (tasse e condoni) e per 6.9 in forza di minori uscite (tagli di spesa).

Gli impieghi sono destinati per 12.5 miliardi (oltre un terzo) ad impedire l’aumento dell’Iva, per 16 miliardi (quasi la metà) a reddito di cittadinanza e pensioni, per 0.6 miliardi (meno del 2%) all’avvio della flat tax per gli autonomi, per 3.5 miliardi ad investimenti, per 1.8 miliardi ad incentivare gli investimenti privati, per 2.3 miliardi a copertura di spese indifferibili (sostanzialmente spese militari).

Tutto questo, nelle intenzioni del governo, dovrebbe determinare un rapporto deficit/Pil 2019 del 2.4% ed un incremento del Pil 2019 sul 2018 dell’1.5%.

Quest’ultimo dato, di decisiva importanza in quanto anche denominatore di tutti i rapporti previsti dai principali indicatori, appare nettamente difforme dalle più accreditate previsioni al riguardo (UE e Moody’s stimano + 1.1%, Bankitalia addirittura + 1%).

Quali elementi della manovra possono indurre a credere che il valore complessivo dei beni e dei servizi prodotti all’interno del nostro paese, il fatturato Italia detto altrimenti, possa far segnare una crescita il prossimo anno superiore del 50% circa rispetto a quella stimata dai principali istituti? Considerando al riguardo che un eventuale risultato del Pil al disotto delle previsioni peggiorerebbe inevitabilmente anche quel rapporto (2.4%) che, già così com’è, crea oggi tante tensioni in ambito europeo e sui mercati finanziari.

Va allora detto con chiarezza che se la manovra, anche generando un deficit superiore agli impegni europei, fosse però destinata a coprire altrettanti sgravi d’imposta, le aspettative potrebbero dirsi effettivamente più confortanti. Una significativa e generalizzata riduzione del carico fiscale potrebbe davvero incoraggiare lo spirito d’impresa e corroborare la ancor timida ripresa in atto.

Ma può dirsi realisticamente lo stesso quando ben oltre tre quarti della manovra sono destinati a scongiurare il pericolo che le imposte (Iva) possano al contrario addirittura aumentare, oltre che a sostenere chi dal mondo produttivo è già uscito (pensioni) o a sussidiare chi in quel mondo non riesce ad entrarci (reddito di cittadinanza)? Può dirsi realisticamente lo stesso quando meno del 2% delle risorse sono effettivamente destinate a ridurre le tasse di chi lavora e produce?
Tralascio di considerare, in aggiunta a quanto precede, gli effetti distorsivi dell’ennesimo condono, comunque diversamente denominato. Risorse in meno per gli anni a venire (si perde infatti la possibilità di accertare ed incassare tutte le imposte dovute sugli imponibili definiti con la sanatoria) e si rafforza la sciagurata convinzione che le tasse siano in questo paese solo un’eventualità tanto i condoni, alla fine, sono comunque una certezza. Di qualunque colore politico sia il governo di turno.

Senza alcuno spirito di polemica allora e solo con uno sguardo ai numeri ed ai fatti, può dirsi davvero questo il “cambiamento” per cui milioni di italiani hanno espresso il loro voto?

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

20/10/2018 Il Messaggero Veneto