Il giorno in più dei tartassati

Nel lontano 1948 un imprenditore della Florida, Dallas Hostetler, con l’intento di far percepire ai propri dipendenti quanto effettivamente fossero tassati, si inventò il concetto del “Tax Freedom Day” (il giorno della liberazione fiscale).

Sostanzialmente il giorno dell’anno in cui, dopo aver utilizzato tutti i precedenti per pagare le tasse, si può finalmente usare il proprio reddito per soddisfare i bisogni personali e quelli della propria famiglia.

Il primo giorno dell’anno, in altre parole, in cui teoricamente una nazione nel suo complesso può dire di aver guadagnato abbastanza reddito per poter pagare le sue tasse.

L’idea ebbe prontamente successo tanto da convincere l’ideatore a correre subito a registrarne il marchio, lucrandoci poi sulla sua successiva rivendita ad una fondazione (la Tax Fundation).

Da allora questa fondazione calcola ogni anno il giorno della libertà fiscale degli Stati Uniti, utilizzandolo come strumento per illustrare quanta parte dei redditi dei cittadini americani venga deviato per finanziare il carico fiscale imposto dal governo.

D’altro canto sostituire una quantità misurata in denaro con una quantità misurata in termini di tempo è effettivamente, nel caso di specie, un’idea particolarmente suggestiva.

Per intenderci, una cosa è infatti sapere per esempio che la pressione fiscale nel nostro paese è pari al 42%, altro è considerare che bisogna sostanzialmente lavorare fino al 2 giugno di ogni anno (153esimo giorno su 365, pari ad appunto il 42%) solo e soltanto per poter pagare tutte le tasse ed i balzelli che la nostra legislazione fiscale ci impone.

Da allora molti paesi raccolgono e classificano dati per calcolare i rispettivi “Tax Freedom Days” nazionali, non sempre con dati omogenei e per questo non esattamente paragonabili.

Quest’anno l’Ufficio Studi della CGIA di Mestre ha calcolato che in Italia nel 2019 un impiegato medio con un buon stipendio (circa 51 mila euro) si affrancherà dal giogo delle tasse solo il 21 giugno.

Un giorno di lavoro in più (in barba a tutte le promesse di riduzione del carico fiscale …) rispetto all’anno precedente.

171 lunghissimi giorni. Oppure, se vogliamo fare il calcolo su base giornaliera, “in pratica dalle 9 alle 12.45 lavoriamo solo per l’Erario, solo dalle 12.46 per la nostra famiglia”.

Come detto, con modalità non sempre omogenee, il “Tax Freedom Day” si calcola più o meno in tutto il mondo ed è chiaramente correlato alla quantità e qualità dei servizi resi dallo Stato ai propri cittadini.

Non stupisce in tal senso come questo agognato giorno arrivi più tardi in paesi dove lo Stato è maggiormente presente a tutela dei suoi cittadini (Norvegia, 29 luglio), piuttosto che assai prima in quelli dove lo Stato è viceversa tradizionalmente “leggero” (Stati Uniti, 24 aprile).

Resta però il fatto che qui da noi, non sempre con servizi pubblici all’altezza dei rispettivi costi, senza importanti correttivi alla curva dell’Irpef (ferma dall’ormai lontano 2007), il “Tax Freedom Day” è destinato a slittare inesorabilmente in avanti.

Allora forza con una (vera) flat tax o con una riduzione delle aliquote. Queste sono, ormai da tempo, le vere priorità.

Per non doverci consolare solo perchè, in fondo, più di 365 giorni all’anno per lo Stato è davvero impossibile lavorare.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

25/01/2019 Il Messaggero Veneto