I tanti interrogativi di una tax non proprio flat

Nel momento in cui la formazione del nuovo esecutivo giallo-verde sembra avviarsi a conclusione positiva è opportuno tornare su uno dei punti centrali e più discussi dell’accordo di governo: l’introduzione della cosiddetta “flat tax”.

E’ appena il caso di ricordare che per flat tax si intende una tassa appunto “piatta”, caratterizzata cioè da un’aliquota unica, costante, a prescindere dal livello di reddito cui viene applicata.

Se così è, basta leggere allora l’accordo di governo per capire che, in questo caso, non si tratta proprio di questo.
Vengono infatti previsti due scaglioni e due aliquote (e non una unica): fino a 80 mila euro un’aliquota del 15%, oltre un’aliquota del 20%.
In entrambi i casi, applicate al reddito familiare e non più a quello individuale.
Inoltre, per garantire quei criteri di progressività richiesti dalla nostra Costituzione, viene prevista una deduzione decrescente per abbattere l’imponibile pari a 3 mila euro per ogni componente del nucleo familiare fino a 35 mila euro, solo per i familiari a carico tra 35 e 50 mila euro, nessuna deduzione invece per i redditi superiori a 50 mila euro.

E’ prevista infine una clausola di salvaguardia che permetterà ai redditi più bassi di calcolare l’imposta secondo le attuali regole, se più convenienti.
Se così dovesse essere, almeno tre temi andrebbero attentamente considerati.
Punto primo, può ritenersi condivisibile (e costituzionale) una norma che, a parità di capacità contributiva, avvantaggia i single e le coppie non sposate rispetto alla famiglia unita da matrimonio?

E’ infatti evidente che il cumulo dei redditi della coppia sposata farebbe scattare, ad un certo punto, l’aliquota più elevata del 20% che invece non si applicherebbe ai redditi dei singoli considerati separatamente.

Punto secondo, può ritenersi condivisibile una riforma che di certo porta a risparmi modesti per la classe media (sempre che questi risparmi ci siano davvero, altrimenti non si spiegherebbe l’introduzione della clausola di salvaguardia) e benefici assai più consistenti per la classe più abbiente che infatti vede più che dimezzata l’attuale aliquota massima del 43% ridotta al 20%?

Punto terzo, come si concilia la (quasi) flat tax con il “reddito di cittadinanza” previsto dallo stesso programma di governo?
Nel primo caso si tratta infatti di una misura che comporta una riduzione delle imposte, nel secondo, invece, un aumento della spesa.

L’effetto congiunto è quello di generare, in entrambi i casi, più deficit.
Anche se è pensabile che alla fine si procederà sulla strada di versioni più moderate (e più realistiche) delle due proposte, resta comunque il fatto che si tratta di due modelli di intervento assai diversi e difficilmente conciliabili tra di loro.

Non resta che sperare che la sintesi non venga trovata mettendo ulteriormente a rischio i nostri già delicati equilibri di bilancio.

Forse, prima di discutere su chi formerà il prossimo governo, ci si dovrebbe mettere d’accordo tutti assieme su come evitare che uno scenario del genere possa diventare realtà.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

25/05/2018 Il Messaggero Veneto