Equo compenso, il paradosso dell'Antitrust

Siamo davvero un Paese strano.

Il collegato fiscale alla legge di bilancio 2018 introduce, a favore di tutti i professionisti, il diritto a vedersi riconosciuto un “equo compenso” a fronte delle prestazioni rese nei confronti di banche, assicurazioni, grandi aziende e pubbliche amministrazioni.

Il testo normativo definisce equo il compenso del professionista quando questo “risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione”.

Sembra un’ovvietà, una norma quasi irrilevante. Un’affermazione tanto condivisibile e, per ciò stesso, addirittura banale.

Chi potrebbe infatti mai sostenere fondatamente il contrario? E cioè che vi sarebbe il diritto da parte del committente di retribuire il professionista in misura inferiore alla quantità e qualità del suo lavoro o di pretendere addirittura la gratuità del suo impegno.

Invece, nel nostro Paese, c’è bisogno di norme come questa per impedire alle grandi imprese italiane come banche ed assicurazioni di dettare le regole di ingaggio dei professionisti imponendo clausole vessatorie come la possibilità di introdurre modifiche unilaterali alle condizioni contrattuali, ovvero gravando il professionista dell’anticipo delle spese ovvero ancora pretendendo prestazioni aggiuntive a titolo gratuito.

Una prassi diffusa anche nella pubblica amministrazione, avallata recentemente anche dalla giustizia amministrativa che ha ammesso il lavoro gratuito a favore degli enti pubblici sul presupposto che il professionista ne può ritrarre un ritorno in termini reputazionali sul mercato della clientela privata.

Comprensibile quindi la soddisfazione con cui la norma è stata accolta dai professionisti. Anche se, va detto, il più resta ancora da fare in quanto sarà comunque necessario un provvedimento amministrativo per declinare concretamente l’effettiva misura che configura l’equità del compenso professionale.

Tutti d’accordo allora? Proprio no. Con eccezionale tempismo è intervenuta subito l’Antitrust. Secondo l’autorità garante la norma sarebbe lesiva della concorrenza in quanto sottrarrebbe al mercato la libera contrattazione sulla determinazione del compenso. Per l’Antitrust i più penalizzati sarebbero i “newcomer” (perché chiamarli così?) che poi sarebbero gli ultimi arrivati, che vedrebbero compromesse le loro possibilità di competere con i colleghi più affermati.

Singolare davvero. L’Antitrust non si accorge della penalizzazione che continuano a subire tutti i professionisti italiani di fronte allo strapotere della grande committenza e si preoccupa invece di perpetuarla, costringendo i più giovani a subire tariffe indecorose pur di lavorare.

Siamo davvero un Paese strano, si diceva. Costretto a inserire nella legge principi addirittura ovvi e a dover anche lottare per farceli restare.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

09/12/2017 Il Messaggero Veneto